L’alba era appena sorta, i colori caldi davano il cambio alla notte, il chiarore diffuso accendeva d’incanto la piccola spiaggia sabbiosa, il mare rilasciava come delle stelle di luce, e l’isolotto disabitato in mezzo al mare, si colorava di luce che cambiava dal rosso fuoco all’arancione.
Mi incantai a guardare quel pezzo di natura incontaminata, rapita dalla voglia di scendere giù a calpestare la sabbia bianca incastonata tra le rocce scure della scogliera. Martina era già in terrazza, in piedi sulla balconata a scattare una serie interminabile di fotografie, mi passò davanti per raggiungere le scale che dal terrazzo portavano alla spiaggia: “Vieni sull’isolotto con me?” domandò “mi fai compagnia mentre cerco qualche inquadratura particolare”.
Ero ancora in vestaglia, una tunica rossa acquistata in Tunisia, e sotto solo un paio di microscopici slip. Cercai di accampare qualche scusa, almeno il tempo di indossare qualcosa, ma non me lo concesse. Appena salita sul gommone per il breve trasferimento, ebbi un brivido. L’umidità della notte si era impadronita di ogni cosa e vidi di buon occhio l’idea di raggiungere la riva: mi sarei scaldata facendo forza sul remo… uno a testa, in un divertente gioco che ci portò a girare più volte su noi stesse.
Ben presto scoppiammo a ridere entrambe come delle pazze e nello sforzo mi ritrovai con la vestaglia aperta, sotto gli occhi attenti di Martina che pronunciò una sola parola: “Bello!”. Feci per richiuderla, ma mi chiese di aspettare, ne sarebbe uscita una foto da copertina. Mi parve un gioco, e d’altronde non mi preoccupavo certo che il mio seno facesse capolino tra il rosso della seta… non ho mai avuto problemi a fare il bagno nuda.
Però c’era qualcosa di diverso, qualcosa che mi agitava dentro; non volevo ammetterlo, ma era un’inequivocabile eccitazione che riusciva a condizionarmi davanti all’obbiettivo. Qualche foto in barca e poi raggiungemmo la riva e tra noi era sceso il silenzio. Ci guardammo a lungo, poi Martina si decise a parlare, confessandomi che le sarebbe piaciuto continuare a fotografarmi.
Annuii, abbassando gli occhi, e lei capì il mio imbarazzo, cercando allo stesso tempo di indagare su cosa mi stesse succedendo. Mi parve normale spiegarle quella sensazione calda che mi stringeva il ventre… sorrise, mi prese per mano e mi condusse nei meandri dell’isolotto. Tutto accadde nella quiete più assoluta, uno scatto dopo l’altro nella magia di quel mattino… gli slip che scivolano giù sino alle ginocchia… e poi cadono tra la sabbia.
Seduta sulla nuda roccia, le gambe accavallate quasi per proteggermi dall’obiettivo troppo indiscreto: “aprile dai…” mi disse, senza nemmeno smettere di fotografare. Le divaricai appena, subito ripresa dalla sua voce decisa. Avrei voluto porre fine al gioco, ma quel intrigante pizzicore mi attanagliava la mente.
Obbedii e il freddo della pietra dove mi ero seduta parve scaldarsi al mio contatto, qualche secondo e poi mi coprii con la mano senza prevedere che, così facendo, le avrei dato un’altra occasione per continuare il gioco. Lei mi guardò per un attimo negli occhi: “Lo so che sei terribilmente eccitata” sussurrò “lo sono anch’io… ma mi va di guardarti mentre ti tocchi, e a te piace che io lo faccia vero?”.
Si, era vero! Sentivo gli umori scivolare nel mio sesso e farsi largo tra le mie paure. Da quell’istante tutto avvenne come in un sogno… la sua voce suonava attutita, dettando situazioni a cui io obbedivo ciecamente, e le mie dita cercarono l’ingresso tra le labbra intrise di desiderio in un crescendo di piacere a cui non riuscii più a resistere.
Ben presto, quel calore intenso divenne una voglia atroce a cui non potevo sottrarmi, e lentamente continuai a toccarmi sino a raggiungere il più incredibile degli orgasmi sotto lo sguardo attento di Martina che non aveva mai smesso di scattare fotografie. Vidi i suoi occhi ricomparire da dietro la macchina solo quando riaprii i miei risvegliandomi da quell’incantesimo: “così sei bellissima” mi disse “avrei tanto voluto che tu ti potessi vedere”.
Martina si avvicinò a me e poggiò delicatamente le sue labbra sulle mie senza dischiuderle, solo un lieve bacio, pudico, mentre quelle mani diventavano lascive e sensuali, le sue dita scendevano sul mio ventre, la sua bocca era sopra il mio capezzolo che cominciò a succhiare e mordere.
I capezzoli sono sempre stati lo start del mio piacere, ma fino a quel momento solo bocche maschili ne avevano preso possesso, ma la scossa adrenalinica che sentii mentre Martina se ne serviva, mi fece capire che il piacere che stavo provando era lo stesso se non addirittura amplificato.
Una situazione completamente nuova, ciò che in quel momento succedeva, nella mia testa era un’esplosione incontrollata di paura e stupore, un’antinomia di bene e male, piacere e pudore che mi pervadeva; ma come spesso mi accade era il piacere a prendere il sopravvento ed io amo il piacere.
Le sue dita intanto erano scese sul mio pube completamente glabro, mi sentivo inerme, creta nelle sue mani da modellare a suo completo piacimento.
Mi sdraio sulla sabbia, divaricò le mie gambe è portò il suo viso alla sorgente del piacere. Avevo i brividi, sentivo il mio corpo teso come una corda ma allo stesso tempo sentivo che dalla fonte del mio sesso cominciava a sgorgare la mia essenza, e l’odore di sesso pervase entrambe.
Con le sue mani esperte aprì le mie grandi labbra, annusò ciò che ne usciva alzò la testa mi guardò e mi disse che avevo un profumo meraviglioso, mai nessun uomo aveva dato un aggettivo. Ero indifesa e completamente in sua balia, abbassò la testa e sentii la sua lingua che iniziava ad esplorare e roteare tutt’attorno alle mie grandi labbra, non usava solo la lingua ma con i denti le pinzava, pizzicava, tirava, le sue mani cercavano di allargare la mia fica in modo tale che lei potesse entrarci, credo che se avesse potuto ci sarebbe completamente entrata.
Leccava, succhiava, mordicchiava, finché la mia mandorla fu completamente schiusa. Si fermò e ritornò verso il mio viso, il mio cuore martellava come un tamburo impazzito, si avvicinò alla mia bocca e mi disse: “senti quanto è buona la tua essenza”. Mi venne spontaneo aprire la bocca e lei cominciò a baciarmi, mi sentivo impacciata, ma fu solo un brevissimo momento e mi unii con tutta la mia voglia a quel bacio e mentre le mie mani avvolgevano il suo corpo per addossarlo al mio, le nostre lingue iniziarono a stilettare: il mio primo bacio ad una donna.
Anche i nostri corpi cominciarono a fremere al contatto, mentre le mani li accarezzavano. Interruppe il bacio per ritornare da dove era partita, la mia mente si stava abituando a quelle nuove sensazioni piacevolissime, e divaricai il più possibile le mie gambe per donarle tutto ciò che voleva. La sua lingua continuò a leccare la mia figa fino ad allungarsi al suo interno, roteava, si insinuava, lambiva ovunque, finché non fu nella sua bocca, cominciò a solleticarla e succhiarla, a morderla e pomparla, mentre le sue dita s’infilavano nel mio interno.
Inizialmente furono dolci, lievi come se chiedessero permesso ma quando capì che il mio piacere veniva amplificato dal loro entrare, cominciò a penetrare con più determinazione, roteandole all’interno ben sapendo cosa andare a cercare mentre il mio clitoride era sempre nella sua bocca.
Martina si scostò e venendo verso di me mi baciò nuovamente, cominciai anch’io a trastullare i suoi capezzoli, tanto che ci ritrovammo entrambe a masturbarci. Mentre il bacio si prolungava e la voglia di assaggiare il suo di nettare mi assalì. Ormai ero prigioniera della lussuria, e quando avvicinai la mia bocca alla sua figa, cominciai a leccare semplicemente come poteva piacere a me e la cosa funzionò, tanto che senza accorgerci ci ritrovammo in un sessantanove dove ciò che si poteva fare fu fatto.
Lingue che scorrevano dalla fica all’ano, dita che si insinuavano indifferentemente su uno o l’altro orifizio, delicatezza, fermezza, furore, passione, intensità, un caleidoscopio di emozioni e sensazioni.
Non so per quanto tempo sia durato quel delirio, ma nel momento stesso in cui avevamo inizio quel gioco il tempo era diventato spazio, e nello spazio il tempo non esiste.
Ritornata alla realtà, le raccomandai che quelle immagini non finissero nelle mani degli amici. Lei riavvolse il rullino, lo estrasse e me lo gettò tra le mani: “Non possono certo essere meglio di ciò che io ho visto con i miei occhi… queste tienile tu, a me resteranno le prossime che faremo!”.
Ora, passati 15 giorni da quella mattina, sto aspettando che suoni il campanello della porta; Martina mi viene a prendere per portarmi nel suo studio ed io mi sento travolgere dalle stesse sensazioni di allora.